Riutilizzare i tessuti

C'è stato un momento nella mia "carriera" di artigiantropologa in cui mi sono trovata faccia a faccia con qualcosa che mi metteva a disagio: il riuso. Ho avuto una mamma appassionata a diversi hobby e, quando è venuta a mancare più o meno improvvisamente, ho ritrovato nella sua casa davvero moltissimi materiali inutilizzati. Dato che tra le sue passioni si era recentemente aggiunto il patchwork, ho scovato scatole e scatole di stoffe colorate, bottoni, aghi, nastri etcetcetc. Avrei dovuto buttare tutto o regalarlo? O aveva più senso, dato che io già confezionavo pupazzi, utilizzare tutto quel ben di dio per i miei lavori?
Sembra ovvio (e un po' stupido), ma c'era una parte di me che non si sentiva a suo agio, e non tanto per utilizzare "cose di una persona morta", ma più pragmaticamente perché mi sembrava disonesto far pagare a chi adottava una Madamina il costo di un materiale che io avevo ricevuto gratis.
Mi ci è voluto molto per calarmi in maniera confortevole nell'idea della "seconda vita" di un materiale e dopo riflessioni -e studio, vuoi mettere?!- ho individuato la fonte del mio malessere (che andava oltre, eh, al sentimentale "non posso usare quasta stoffa perché tutte le volte che la vedo penso alla mamma e sto male"... purtroppo sono molto più grezza di così): il problema è il capitalismo.
Ok, ho calato l'asso; troppo facile... il 90% dei problemi che affligge la nostra società è causato dal capitalismo! Ma in questo caso è dannatamente vero ed evidente.

Riassumerei così: ci hanno insegnato che riutilizzare le cose è da poveracci, ma si tratta di un inganno del capitalismo per farci comprare cose che non ci servono.
Qui cerchiamo di dipanare un po' la matassa. Da appassionata di folclore, mi capita spesso di imbattermi in quella che in gergo si definisce "economia circolare". Un esempio? Le maschere carnevalesche piemontesi ritraggono uomini selvatici e orsi... c'è l'orso di meliga, quello di ricci di castagna e via dicendo: un tempo si creava con quello che si aveva a disposizione. Il risultato era originale, caratteristico; oserei dire tutto l'opposto di mille prodotti tutti simili a causa delle stesse fonti d'ispirazione (internet vs. le donne del villaggio) e dei medesimi materiali (quello che c'è vs. tutto quello che voglio). Insomma, quand'è che ci è venuta questa ossessione per il nuovo?
Spannometricamente potremmo dire nell'Ottocento, quando la cultura dominante propose alla nuova (e rampante) borghesia un modello alternativo ai vestiti lisi e sbiaditi dei contadini, fatto di ordine e pulizia: le logiche di mercato invitavano a gettare il vecchio per sostituirlo con il nuovo.
Il rinnovamento diventò un concetto incontestabile e, complici anche gli sviluppi della medicina, il sudiciume era ormai guardato con sospetto; sporco, vecchio e rovinato (concetti in realtà tra loro diversi!) finirono per equivalersi in un'unica soluzione: se si voleva essere moderni, si doveva ambire al nuovo e al pulito.
Oltre alla condanna morale, s'insinuò anche un meccanismo leggermente più subdolo poiché, se prima non era mai stato un problema che le cose si rovinassero o sporcassero, l'industrializzazione iniziò a far leva sull'ansia che una tazza sbreccata simboleggiasse caducità e mortalità.
"E tra le armi del marketing l'ansia è quella più affilata" per dirla con Riccardo Falcinelli nel suo Cromorama.
A distanza di qualche secolo, possiamo assistere a tutti gli effetti devastanti che questo abuso di tessuti e indumenti ha causato al nostro pianeta: cumuli di vestiti gettati via e isole di plastica negli oceani.
E se provassimo, nel nostro piccolo, a tornare allo stile dei nostri avi? Quello dell'economia circolare e domestica... dove si usava quello di cui si disponeva in casa e il meticoloso lavoro di realizzazione e rammendo era il vero valore aggiunto, la traccia di unicità che quell'oggetto (e solo quello!) possedeva?

Questa consapevolezza è alla base del mio progetto "Inutile scampolo, a chi?" dove utilizzo tessuti che mi sono stati donati negli anni per confezionare gli abiti delle mie Madamine. La sensazione di malessere per utilizzare materiali gratis è svanita quando ho iniziato a impazzire con stoffe sintetiche che si arricciano, scampoli troppo piccoli per il fronte e retro di una gonna, micro orli e altre avventure che spero di raggruppare presto in un video demenziale. Intanto sono riuscita a raccontarti qualcosa di più sul dietro le quinte del mio lavoro!

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